La tecnologia per il trattamento acque reflue è pronta, serve però maggiore consapevolezza, una regolazione incentivante e chiarimenti sul “chi paga”. È questa la ricetta per un efficiente servizio idrico a livello europeo proposta da Andrea Guerrini, componente del collegio dell’ARERA e appena confermato presidente dell’associazione europea dei regolatori dei servizi idrici, Wareg.
“Bene le novità proposte con la direttiva UE sul trattamento delle acque reflue ma è fondamentale riconoscere il ruolo basilare della regolazione nel servizio idrico in ambito Europeo, così come accade nel settore dell’Energia”, dice Guerrini in questa intervista rilasciata a BolognaFiere Water&Energy. In particolare, secondo Guerrini, le Autorità, e la regolazione in generale, devono essere viste come strumento per implementare le direttive e quindi raggiungere gli obiettivi. E questa regolazione deve essere “incentivante”, trattando diversamente chi rispetta determinati parametri e chi no.
Altro problema in particolare sul riuso, spiega ancora Guerrini nell’intervista, è squisitamente tariffario: “La tecnologia ormai è pronta, addirittura si sono raggiunti dei livelli che l’acqua di riuso potrebbe essere messa alla pari dell’acqua potabile”. Ma “fino a quando starà stabilito chi deve coprire i costi, i gestori del servizio idrico non avranno incentivi a portare avanti questa attività”.
Professor Guerrini, in questi giorni è stato riconfermato presidente Wareg, l’associazione dei regolatori idrici europei. Quali sono i principi e i compiti principali di Wareg?
L’associazione, nata nel 2014 su iniziativa di un gruppo di autorità del settore tra cui in particolare quella italiana, ha la finalità di dialogare con le istituzioni europee sui temi idrici e portare la voce di tutti i regolatori degli Stati membri ma anche dei Paesi vicini e candidati a entrare nell’UE. Wareg ha inoltre la finalità di scambiare buone pratiche e conoscenze regolatorie per una efficiente gestione del servizio idrico tra i vari Stati membri. Quindi unisce Autorità indipendenti, come ARERA in Italia, nonché unisce Autorità specializzate nel servizio idrico e uffici ministeriali che si occupano del settore. Il tutto con competenze tariffarie e regolatorie, quindi non abbiamo come associazione competenze nel fare le regole perché le regole le fanno in nostri associati (per esempio ARERA in Italia).
L’obiettivo finale è la promozione presso le istituzioni comunitarie di principi comuni e di un quadro regolatorio armonizzato e stabile a livello europeo, promuovendo coerenza, trasparenza e accountability in tutta Europa.
Nel breve termine quali sono le prossime azioni che Lei in quanto Presidente intende portare avanti per contribuire a rendere più efficiente e sostenibile la rete idrica europea nelle attività domestiche, industriali e agricole?
Uno dei temi principali su cui stiamo già lavorando con la Commissione europea è la definizione di un indicatore sulle perdite idriche. L’Europa nella direttiva acqua potabile che è stata approvata e poi recepita nei vari Paesi prevede il monitoraggio delle perdite idriche per ciascuno Stato membro al fine di contenerle, attraverso un indicatore come quello utilizzato dall’International Water Association (IWA). Su questo indicatore però vari Paesi hanno perplessità, quindi Wareg lavora alla proposta di un possibile indicatore alternativo. Sarà fondamentale convincere la Commissione su quale sia il migliore indicatore. L’associazione sta portando avanti un lavoro che analizza come vengono misurate le perdite nei vari Stati UE. Abbiamo visto che la metodologia utilizzata in Italia, che parifica i volumi di acqua non misurati con appropriati sistemi metrologici ai livelli di perdita, è abbastanza diffusa in Europa. In assenza di una piena diffusione dei sistemi di misura individuale, l’indicatore proposto consente di dare consapevolezza al gestore in merito all’appropriato utilizzo della risorsa acqua.
Noi come Wareg portiamo avanti questa metodologia, cercando di costruire un benchmark unico europeo sulle perdite di acqua a cui fare riferimento.
Da giugno saranno in vigore le nuove regole UE sul trattamento delle acque reflue. Cosa cambierà per il settore? In Europa e in Italia.
Questo è l’altro fronte su cui stiamo lavorando come Wareg. La Commissione è uscita a ottobre scorso con questa proposta e noi ci siamo subito mossi con la nostra attività di advocacy per far sentire la voce dei regolatori.
Siamo sicuramente favorevoli a tutti gli elementi di novità che questa proposta porta. Si va sicuramente verso una visione strategica della depurazione, vengono considerati gli impatti ambientali e sulla salute umana del trattamento delle acque reflue. Si introducono anche elementi sulla neutralità energetica molto interessanti che portano i vari Paesi a valorizzare il potenziale di energia che c’è dentro i fanghi di depurazione. Fondamentale anche il passaggio in cui si prevede la definizione di piani per la gestione delle acque reflue urbane e delle acque meteoriche perché porta a una visione a 360° sull’acqua. Questo potrà potenzialmente portare le utility del servizio idrico anche a gestire le acque meteoriche.
Poi c’è una parte più stringente sui parametri, ossia che prevede che in un agglomerato con più di 1000 abitanti si faccia il trattamento secondario (finalizzato all'abbattimento della sostanza organica biodegradabile e alla rimozione dei solidi). Il terziario (che ha lo scopo di perfezionare la depurazione riducendo il carico di elementi nutrienti - fosforo e azoto - presenti nell'effluente secondario) viene richiesto tra i 10.000 e i 100.000 abitanti. Sopra i 100.000 è invece richiesto il cosiddetto trattamento quaternario che prevede l’obbligo di rimuovere i prodotti farmaceutici e cosmetici che sono nelle acque reflue. Altro aspetto fondamentale è che, secondo l’idea della Commissione, non sarà l’utente a pagare per il servizio quaternario ma sarà direttamente il produttore farmaceutico o di cosmetici.
Punti deboli di questa proposta sulla Commissione europea?
Come detto prima condividiamo la linea della Commissione. Chiediamo tuttavia un maggior riconoscimento in termine di legge del ruolo dei regolatori, e della regolazione in generale, come strumento per implementare le direttive e quindi raggiungere gli obiettivi. Ciò è quanto accaduto con il terzo pacchetto che ha istituito ACER, l'agenzia della UE che riunisce i regolatori dell'energia.
Faccio un esempio retrospettivo. In Italia la direttiva acque reflue del ‘91 attualmente in vigore, dà degli obiettivi in termini di qualità dell’acqua e l’Autorità ha messo in piedi un insieme di indicatori in base ai quali dare degli incentivi alle aziende, trattando diversamente chi rispetta determinati parametri e chi no. Grazie a questo negli ultimi anni abbiamo visto un miglioramento in termini di performance della depurazione. Segno che questa regolazione incentivante ha dato una accelerata al raggiungimento dei target che poneva la direttiva del ’91.
Quindi anche con questa nuova direttiva le varie autorità possono predisporre misure incentivanti. Per esempio, nel caso della neutralità energetica, è possibile mettere in piedi un sistema che innanzitutto misuri la capacità delle aziende di raggiungere gli obiettivi e poi premi le più virtuose. Inoltre, con riferimento all’attuazione del sistema EPR (Extended Producer Responsibility), ARERA potrebbe determinare i costi efficienti per il trattamento quaternario, ricoprendo un ruolo simile a quanto già in essere nel settore rifiuti, in cui il regolatore determina i costi della raccolta differenziata da porre a carico del sistema dei consorzi di riciclo.
Quindi diciamo alla Commissione: riconoscete il ruolo fondamentale della regolazione.
Può anche capitare che laddove non c’è un riconoscimento a livello europeo, la regolazione sia instabile. Può capitare che ad esempio un governo o un parlamento decida di rimuovere le competenze al regolatore sul servizio idrico, compromettendo l’intero sistema di elementi incentivanti messo in piedi. A differenza del settore dell’energia, nel servizio idrico non c’è, dunque, un quadro chiaro al livello UE e la situazione è più incerta per operatori e investitori.
In Italia nelle attività agricole e nel sistema industriale il riuso delle acque reflue depurate e in generale il razionamento dell'acqua viene sfruttato in minima parte rispetto al potenziale. Quali sono gli ostacoli che bloccano il settore?
La tecnologia ormai è pronta per mettere a disposizione acqua di riuso, addirittura si sono raggiunti dei livelli che potrebbe essere parificabile all’acqua potabile, alla luce degli standard chimico fisici. La questione secondo Wareg è tariffaria. Fino a quando non sarà stabilito chi copre i costi per l’acqua di riuso, i gestori del servizio idrico non avranno incentivi a portare avanti questa attività su scala industriale.
Su questo fronte vi sono due strade percorribili. La prima è quella di chiedere la copertura dei costi per l’affinamento dell’acqua agli agricoltori, rispettando il principio di matrice europea “chi consuma paga”. In questo modo daremmo agli agricoltori anche dei segnali. In Israele ad esempio funziona così. In Italia purtroppo questo non è possibile perché l’acqua che attualmente utilizzano gli agricoltori è pagata con canoni molto bassi, e quindi anche se l’acqua di riuso venisse fatta pagare dalle utility qualche centesimo al metro cubo non ci sarebbe un incentivo significativo al consumo di questa risorsa.
In attesa quindi che, nel medio termine, il sistema agricolo sia riformato e giunga a un più efficiente consumo di acqua, ad esempio scegliendo colture che hanno meno fabbisogno di acqua o utilizzando sistemi di irrigazione efficienti, si può pensare che sia l’utility a pagare i costi di affinamento e mettere a disposizione gratuitamente l’acqua di riuso agli agricoltori. Naturalmente l’agricoltura deve farsi carico di tutti quei sistemi di reticoli per trasportare l’acqua.
Negli altri Paesi europei com’è la situazione su questo fronte?
Il tema non è solo italiano ma molto europeo. Non essendoci infatti nel regolamento Ue un riferimento agli aspetti tariffari, cioè al “chi paga”, in tutti gli Stati membri si va avanti con accordi privati, tra utility ed agricoltori, che variano da caso a caso.
In Spagna in particolare c’è uno sfruttamento migliore del riuso perché lì il settore agricolo risente degli effetti della scarsità idrica più che in Italia e questo ha portato a una maggiore consapevolezza degli agricoltori nell’utilizzo della risorsa acqua. Questo è il vero driver che manca. Gli agricoltori fanno fatica ad accettare l’acqua dei depuratori per valutazioni errate, dovute alla mancanza di corretti segnali di prezzo. Però in certi casi l’alternativa è la perdita del raccolto e quindi purtroppo si arriva a valorizzare il riuso soltanto quando si è morsi dalla siccità.
A cura di Elena Veronelli