Le criticità e i ritardi in cui versa il servizio idrico integrato riguardano in modo particolare la depurazione e sono già costate all’Italia due condanne (2012 e 2014) e una nuova procedura di infrazione (2014-2059) da parte della Corte di Giustizia Europea per inadempimento della Direttiva 91/271/CEE del Consiglio Europeo, concernente il trattamento delle acque reflue urbane. La prima sentenza (causa C-565/10), emessa il 19 luglio 2012, ha condannato l’Italia per il mancato trattamento degli scarichi provenienti da decine di agglomerati con più di 15mila abitanti equivalenti; la seconda sentenza (causa C-85/13), emessa il 10 aprile 2014 e relativa a 41 agglomerati con più di 10mila abitanti equivalenti, ha condannato l’Italia per mancata realizzazione delle reti fognarie e mancato trattamento preventivo dello scarico.
Il Governo – che nel 2014 ha istituito una Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche – ha calcolato che le penalità di mora possono giungere “fino a un massimo di 714.000 euro per ogni giorno di ritardo nell’adeguamento, a decorrere dalla pronuncia della sentenza entro il 2016”. A lanciare, l’allarme l’ex coordinatore della Struttura Erasmo D’Angelis, che calcola “multe salate per le Regioni e per i circa 2.500 Comuni fuorilegge”. Il conto finale ammonta a “circa mezzo miliardo di euro l’anno dal 2016 e fino al completamento delle opere”. Ed ecco le possibili sanzioni per Regione, qualora il sistema politico e industriale insieme non si dimostrassero capaci della virtuosa sinergia attesa: Sicilia 185 (in milioni di euro), Lombardia 74, Friuli Venezia Giulia 66, Calabria 38, Campania 21, Puglia e Sardegna 19, Liguria 18, Marche 11, Abruzzo 8, Lazio 7, Piemonte e Val d’Aosta e Veneto 5, per complessivi 482 milioni. A questa cifra, la Commissione Europea può inoltre richiedere la comminazione di una ulteriore sanzione forfettaria calcolata in base all’andamento dell’inflazione e del PIL, oltre alla sospensione dei finanziamenti europei. Tra gli oltre 2.500 Comuni fuorilegge: Trieste, Imperia, Napoli, Reggio Calabria, Agrigento Benevento, Messina e Ragusa tra i capoluoghi di provincia; Rapallo e Santa Margherita Ligure, Capri, Ischia e Massa Lubrense, Porto Cesareo, San Vito dei Normanni e Casamassima, Rossano, Soverato, Castrovillari e Lamezia Terme, Cefalù, Capo d’Orlando, Marsala e Giardini Naxos. Da questi pochi dati estrapolati dalle sentenze di condanna della Corte Ue risulta evidente l’impatto che tale arretratezza infrastrutturale produce sul tessuto dei territori e sul comparto del turismo. La combinazione perversa tra bassi investimenti e carenza infrastrutturale del servizio idrico deve essere invertita a vantaggio di una più ampia protezione ambientale e di uno sviluppo economico e sostenibile del nostro Paese.