Sono trascorsi ormai molti anni da quando anche in Italia è nata la consapevolezza dell’opportunità di promuovere in maniera incisiva lo sviluppo e la cultura delle tecnologie cosiddette “trenchless” o “no dig” (letteralmente “senza scavo”).
In quegli anni, i grandi gestori delle reti del sottosuolo capirono che quelle tecnologie fino ad allora impiegate solo per la realizzazione di grandi opere come gallerie stradali, attraversamenti di fiumi, indagini geologiche, consolidamento di versanti franosi, potevano essere utilizzate anche per la posa di infrastrutture più piccole, con minori costi e con un minore dispendio di tempo rispetto alle tecniche tradizionali.
La nascita dell’ISTT, International Society for Trenchless Technology - organismo internazionale che raggruppa tutte le Associazioni di promozione del “no dig” a livello nazionale - è il segnale che il mondo è maturo per investire nello sviluppo di queste tecnologie e l’Italia ha risposto con prontezza, in un periodo dove ricerca e innovazione erano ancora alla base dello sviluppo del Paese.
Stati Uniti, Germania, Inghilterra e Giappone furono le prime ad investire nelle tecnologie no dig e, in Italia, solo la lungimiranza di molti imprenditori e di dirigenti di grandi aziende dei servizi - quali Telecom Italia, SNAM, ENI, AMGA Genova (oggi IREN) - ci permette oggi di disporre di tecnologie innovative, ormai consolidate, con le quali posare, esercire e manutenere le reti dei sottoservizi a costi sostenibili e con impatti sulla collettività e sull’ambiente davvero minimali.
Un importante fattore di successo di queste tecnologie è stata proprio la loro caratteristica di tutelare l’ambiente e la salute umana; aspetto che solo di recente il legislatore ha pienamente riconosciuto con l’emanazione di una serie di leggi e decreti che ne orientano e ne incentivano l’utilizzo. Nell’ambito dei lavori pubblici vengono denominate “tecnologie a basso impatto ambientale”; nell’ambito delle leggi volte ad incentivare lo sviluppo e l’ammodernamento del Paese, vengono indicate come tecnologie “sostenibili”; nell’ambito delle pubblicazioni annuali da Legambiente, vengono prese in seria considerazione per via del connesso abbattimento dei costi socio-ambientali pari ad oltre l’80%.
Queste tecnologie, inoltre, permettendo di realizzare anche il risanamento delle infrastrutture presenti nel sottosuolo senza ricorrere allo scavo a cielo aperto, consentiranno anche di affrontare, in maniera sostenibile, la grande sfida del futuro: la realizzazione di una rete idrica integrata completa ed efficiente.
Molto è stato fatto per sensibilizzare le Amministrazioni Pubbliche, gli Enti locali, le Aziende e gli studi professionali, ma ancora molto può essere fatto. IATT oggi è diventata un punto di riferimento a livello nazionale per quanti operano nel settore del no-dig e, più in generale, del sottosuolo, grazie soprattutto al supporto e alla tenacia dei suoi associati e al forte spirito di squadra che li anima. Ma soprattutto la forza di IATT sta nel fatto che, al suo interno, è presente l’intera filiera del no-dig, sia in termini tecnologici/produttivi, sia di Committenza/Impresa esecutrice/Ente gestore del suolo.
IATT è comunque sempre proiettata in avanti e determinata a scardinare le reticenze che frenano ancora lo sviluppo del nostro Paese. Sarà interessante riparlarne tra altri 20 anni.
Paolo Trombetti
Presidente