In Italia la situazione del settore del trattamento delle acque reflue “è buona”, grazie a una “normativa definita” e grazie all’uso di “tecnologie all’avanguardia”. Tuttavia, ci sono ancora Regioni e insediamenti industriali, nel centro sud, non allineati alle normative vigenti a causa dei “pochi controlli” e delle “troppe deroghe sulle autorizzazioni allo scarico”.
In generale, poi, la policy sulle autorizzazioni è “troppo frammentata” e gli iter per accedere ai fondi “sono lunghi e con tempi incerti”. Ne parliamo in questa intervista rilasciata da Luca Danielli, Location Manager Savi Laboratori & Service, Gruppo White Lab.
White Lab si occupa di servizi di testing, ricerca, trattamento delle acque, consulenza e certificazione in ambito alimentare, ambientale, medicale e dei beni di consumo. Rispetto al settore acqua, cosa emerge dalle vostre analisi?
Dipende da quale acqua andiamo a valutare, se si parla di acque reflue civili o acque reflue industriali. Se parliamo del settore industriale, negli ultimi anni tutte le industrie che seguiamo, si sono allineate alle normative relative agli impianti di trattamento acque e rispettano tutti i requisiti di legge.
Per quanto riguarda invece le acque civili, quindi gli impianti di depurazione gestiti dalle multiutility, dove effettuiamo il servizio di campionamento e analisi, abbiamo notato che negli ultimi vent'anni c'è stato un netto cambiamento in positivo sulla qualità delle acque reflue in uscita, perché oltre che rispettare i limiti previsti da legge, vediamo un notevole abbassamento ulteriore rispetto ai limiti sul territorio italiano.
Ci sono differenze tra nord e centro sud?
Sì. Queste cose che ho detto ora sono un po' meno veritiere nel centro-sud. Le zone che vedo più in difficoltà sono Lazio, Campania e Calabria. La Puglia è una delle regioni del sud meno in difficoltà. Invece Umbria, Toscana, Abruzzo, Marche, le vedo ben allineate al nord.
Qual è la situazione negli altri Paesi? Come ci posizioniamo?
Contrariamente a quello che si pensa la situazione in Italia è buona. C’è una normativa più definita e anche più rigida. Inoltre, le strutture industriali sono quelle dove vengono applicate le tecnologie più avanzate per il trattamento delle acque. Ad esempio, nel nostro Paese è molto utilizzato, addirittura più di Germania e di Francia, l’innovativo sistema MBR (Membrane BioReactor), che è un sistema di depurazione biologica delle acque che consiste nella combinazione del processo tradizionale di depurazione a fanghi attivi e di un sistema di separazione a membrana (ultrafiltrazione) che sostituisce il normale sedimentatore secondario.
Eppure, nonostante le potenzialità, in Italia il settore del trattamento delle acque reflue non decolla a pieno. Come mai?
Non decolla a pieno perché abbiamo metà Italia in ritardo, a causa dei pochi controlli e del fatto che si lasciano ancora troppe deroghe sui parametri dello scarico. Quindi se non si spinge sui controlli e se non si spinge sull'applicazione delle regole e sul non concedere deroghe, sicuramente permane una parte frenata.
Quindi più controlli e meno deroghe. Oltre a questo, quali sono le azioni che le istituzioni dovrebbero mettere in campo per aiutare le società a investire in questo settore?
Serve una normativa meno burocratica per l'autorizzazione ambientale. Il problema è che non c’è una policy unica. Facciamo un esempio: se prendiamo un cliente industriale che lavora il latte in un paese e un cliente industriale che lavora il latte nel paese accanto nella stessa provincia, le prescrizioni vengono date in modo differente nonostante ci siano le BAT (best available technology), definite dalle linee guida europee Vi è ancora discrezionalità. Uniformare sarebbe un’ottima soluzione.
Inoltre, è vero che i fondi ci sono, ma bisogna saperli utilizzare, cosa molto complessa. Sia i fondi destinati alle industrie, sia i fondi che ha a disposizione la parte municipale. Fare una pratica per utilizzare un fondo è una cosa complessa.
Mi riferisco ai fondi PNRR ma non solo. Ci sono anche altri fondi, ad esempio nel settore di vinicolo, lattiero caseario, che hanno impianti per il trattamento di acque reflue, molte volte possono accedere ad altre tipologie di fondi (come ad esempio PSR).
Gli iter sono lunghi e i tempi incerti. Ma anche una volta che si viene a sapere di essersi aggiudicati un determinato fondo, poi non si è mai sicuri della data in cui si riesce a ottenere.
Invece quanto a tecnologie, quali sono le più promettenti in questo ambito?
Tutte quelle legate ai progetti di riutilizzo dell'acqua. E poi anche quelle legate alle analisi in continuo dell'acqua, perché si sta sviluppando esponenzialmente un mercato sul monitoraggio in continuo che va di pari passo con l'analisi dei laboratori. Inoltre, sono stati fatti dei passi da gigante sui sistemi di telegestione, perché gli impianti di trattamento acque di cui stiamo parlando devono essere telegestite. È incredibile cosa si possa fare da un device e cosa si possa controllare, dieci anni fa era impensabile.
Può parlarci di qualche best practice?
Noi abbiamo realizzato uno degli impianti più importanti di potabilizzazione da acque reflua, prelevandole in uscita da un depuratore di un'industria. Da 6000 metri cubi al giorno di acque reflue in uscita dall'industria, ne abbiamo 4000 che vengono depurati e scaricati in corpo idrico superficiale e gli altri 2000 metri cubi vengono trattati e potabilizzati in un impianto da noi progettato, realizzato e gestito per poi rinviarli all'interno dell'industria. Questo ci ha permesso di non avere un aggravio idraulico nel corso idrico superficiale e di ridurre gli emungimenti di acqua dalle falde.
Intervista a cura di Elena Veronelli