Una gestione inadeguata perché troppo frammentata, con il risultato che, essendo il sistema inefficiente, i comuni tendono a prelevare i pochi utili che si registrano. “Il vizio del campanile è il vero problema del servizio idrico del centro sud”, secondo quanto spiega in questa intervista, Domenico Laforgia, il Presidente di Acquedotto Pugliese (AQP).
Per Laforgia dunque servono incentivi per spingere i gestori ad “aggregarsi, mettersi insieme, fare degli acquedotti che abbiano una dimensione maggiore e acquisire così una capacità finanziaria sul mercato decisamente più alta”. In questo quadro “i fondi del PNRR sono ben accetti però non risolvono il problema. Lo rinviano, di 50 anni”.
Esempio virtuoso in questo senso è proprio la Puglia con AQP: con 185 impianti di depurazione, 5 potabilizzatori, 4 milioni di utenti, “riesce ad avere un giro economico tale da giustificare gli investimenti e da portare l'acquedotto in utile”.
Nell’intervista, Laforgia parla anche dei progetti di AQP legati all’energia e dell’obiettivo non solo di diventare autoproduttori e quindi autonomi dal punto di vista energetico ma, in una logica di multiutility, di vendere al mercato l’energia elettrica rimanente.
“Passiamo dall'essere consumatori di energia elettrica ad essere autoproduttori. Questo ci fa ridurre i costi in maniera importante e questa è una strategia che prima o poi tutti gli acquedottisti dovranno intraprendere”, dice Laforgia.
Come si posiziona il servizio idrico integrato pugliese rispetto alle altre regioni del centro sud?
Noi siamo un unicum nel centro-sud. Nel Meridione c'è molta frammentazione con tanti piccoli esercizi, mentre AQP è il più grande gestore idrico in Italia per estensione delle reti e area servita. Abbiamo oltre 4 milioni di utenti e oltre un milione e 50 mila contratti. Il nostro acquedotto copre una superficie di 20 mila chilometri quadrati e conta una dimensione delle tubazioni d'acqua di 22.000 chilometri e di fognatura di 11.000 chilometri; nell'insieme copriamo quindi tutta la circonferenza della terra con 33 mila chilometri.
In più siamo diversi rispetto a tutti gli acquedotti italiani ma anche a molti europei, abbiamo una complessità fuori del comune. In Puglia non abbiamo l'acqua, siamo una regione asciutta e secca, quindi la prendiamo dalla Campania e dalla Basilicata. La goccia d'acqua che viene ad esempio da Caposele, il più antico acquedotto, ci mette tre giorni per arrivare a Bari e poi viene distribuita a più alta velocità. La complessità del sistema è notevole.
Acquedotto Pugliese gestisce 185 impianti di depurazione, 5 potabilizzatori, è un unicum. Ovviamente è anche molto più efficiente perché avendo 4 milioni di utenti il sistema riesce ad avere un giro economico tale da giustificare gli investimenti e da portare l'acquedotto in utile.
Una grande differenza tra noi e gli altri è infatti proprio questa, la capacità di fare investimenti. La media in Italia è circa 55 euro per abitante all'anno, quella europea circa 80, mentre in Puglia abbiamo investito 80 euro nel 2022 e 100 nel 2023. In alcune realtà territoriali del sud difficilmente invece si superano gli 8 euro di investimento per abitante. Questo perché le dimensioni critiche di molti acquedotti non sono adeguate, bisognerebbe avere almeno un acquedotto di 750 mila utenti per cominciare ad avere la capacità economica di fare investimenti.
Il modello di AQP è un caso unico a livello nazionale; anche Acea, che è il più grosso acquedottista italiano per popolazione servita, non ha una dimensione altrettanto estesa. Pur gestendo il servizio di Roma con circa 3 milioni di abitanti, noi abbiamo oltre 4 milioni di abitanti da servire con un unico acquedotto.
Quali sono i punti di forza del centro Sud e del bacino Mediterraneo? Quali sono le opportunità offerte dal territorio agli operatori del settore?
A parte la Puglia, il Sud è ricco di acqua. Campania, Calabria e Basilicata ne hanno in abbondanza; anche la Sicilia ha grandi quantità d'acqua. Quindi il Sud ha sicuramente invasi di grandi dimensioni.
Il tutto però ha in questo momento una gestione inadeguata e l'opportunità per i gestori del Sud è proprio quello di aggregarsi, mettersi insieme, creare degli acquedotti che abbiano una dimensione maggiore e acquisire così una capacità finanziaria sul mercato decisamente più alta.
Infatti questa era la domanda successiva, quali sono i punti di debolezza del centro sud?
Nel Meridione abbiamo esempi di acquedotti, anche da un milione di abitanti, con una crisi di liquidità finanziaria non facilmente superabile perché privi dei fondamentali che abbiamo noi. Il risultato è che, essendo il sistema inefficiente, i comuni tendono a prelevare i pochi utili che si registrano.
La nostra Regione invece è il socio unico e lascia gli utili in acquedotto affinché vengano reinvestiti. Questo ovviamente ci dà una leva finanziaria importante che aiuta in tutte le nostre attività.
Il vizio del campanile è il vero problema, per cui molti comuni hanno gestioni di dimensioni veramente piccole, che non possono essere esercite a lungo in quelle condizioni. Questo è il vero limite, insieme alla diffidenza verso le aggregazioni: alla fine ognuno vuole far prevalere logiche individualistiche e in virtù di ciò si scelgono persone non in funzione della competenza, ma sempre e solo per l’appartenenza.
Ci vorrebbe più dialogo anche tra vari gestori, tra varie regioni, comuni?
Noi stiamo provando come Commissione Sud di Utilitalia (Laforgia ne è presidente, oltre a essere vicepresidente nazionale della federazione delle utilities italiane, ndr) a fare delle aggregazioni almeno nell’ambito di alcuni servizi. È inutile, ad esempio, che tutti abbiano una direzione del personale che fa le stesse cose; è inutile che tutti abbiano una gestione della tariffa, quando qualcuno potrebbe avere una o due figure competenti da mettere a disposizione di tutti perché il tema è lo stesso.
Anche le gestioni finanziarie potrebbero trovare spazi comuni di operatività. I temi complessi, poi, legati alle progettazioni o alle gare di appalto spesso trovano una grande difficoltà con le opposizioni davanti ai Tar. In Puglia abbiamo un solo ricorso al Tar ogni anno, non ogni gara, e peraltro non perdiamo mai. Questo vuol dire che i nostri appalti sono gestiti bene e queste competenze non sono duplicabili facilmente. Tanto vale condividerle, aggregandoci.
Invece a livello nazionale, quali misure servirebbero da parte del Governo per efficientare maggiormente la rete idrica in Italia e in particolare nel centro sud?
Due sono gli aspetti fondamentali. Il primo è legato all’esigenza di continui investimenti perché nel settore acquedottistico nulla dura per sempre; c’è l'usura, per cui le tubazioni non durano più di 50/60 anni, devono essere rinnovate. Questo rinnovo del sistema comporta investimenti continui.
Questo concetto dovrebbe essere chiaro a chi governa, invece spesso si crede che, una volta costruita, l’opera duri per sempre. Lo abbiamo visto anche sui ponti stradali, che sono venuti meno per la cattiva manutenzione.
Questo ovviamente crea il bisogno di fare investimenti continui e la necessità di mettere da parte risorse da destinare all’infrastrutturazione e al rinnovo delle reti idriche italiane, in particolare al sud dove ci sono state carenze di investimenti.
Altra cosa che dovrebbe fare il Governo è rivedere la legge Galli. Non perché non fosse una buona legge, anzi, ma non è stata utilizzata appieno, non ha esplicato tutti i compiti che erano previsti. Va rivista, aggiornata nella direzione di dare una premialità a chi si aggrega.
E non è soltanto un problema meridionale, anche in altre realtà regionali ci sono divisioni complesse negli acquedotti. Però in Regioni come il Veneto e la Lombardia il tema dell'aggregazione, anche attraverso consorzi come Viveracqua in Veneto o Water Alliance in Lombardia, sta comportando benefici. Mettere insieme le competenze e condividerle fa crescere tutti senza avere costi eccessivi.
Cercheremo di farlo anche al Sud, però se ci fosse una modifica della Legge Galli in questa direzione, che incentivi con una premialità gli acquedotti più piccoli ad aggregarsi, sarebbe più facile.
Quindi anche incentivi all’aggregazione?
Sì, farlo per legge è difficilissimo perché i ricorsi, i blocchi sarebbero enormi. Se invece ci fosse una premialità con un forte incentivo probabilmente ci si riuscirebbe. Ovviamente i fondi del PNRR sono ben accetti, però non risolvono il problema, lo rinviano di 50 anni.
Occorrerebbero circa 6 miliardi all'anno per i prossimi anni per rinnovare il parco strutturale del settore idrico. Bisogna continuare a investire e il PNRR non è la soluzione. Occorre che i gestori abbiano una dimensione critica per investire da sé e questa la recuperano attraverso aggregazioni che consentono di avere fatturati importanti di almeno 200-250 milioni all'anno, che sono quelli di un'azienda con approccio decisamente industriale.
Recentemente AQP ha incontrato una delegazione di manager del settore idrico della Giordania e una dell’Egitto. Quali sono le possibilità di collaborazione tra sud Italia e i Paesi del Mediterraneo? Avete in agenda nuovi incontri? Ci sono Paesi con cui ci sono maggiori possibilità di cooperazione?
Noi abbiamo sviluppato in 120 anni competenze importanti che sono molto ricercate dai Paesi di tutta l'area del Mediterraneo, soprattutto dalla parte sud che ha problemi di siccità analoghi a quelli della Puglia.
Siamo stati anche a Cuba e con lo IORA, l'organizzazione delle nazioni asiatiche, dialoghiamo su alcuni temi relativi al sistema idrico. Quindi siamo disponibili a condividere il nostro know how, organizzando qui da noi corsi e master e poi inviando professionalità a sviluppare una serie di azioni, come studi di fattibilità, progettazioni e tutto quello che serve a loro per risolvere determinati problemi.
Abbiamo richieste da diversi Paesi. Non chiediamo ovviamente riconoscimenti economici, ma auspichiamo uno spazio per le nostre imprese in gare e appalti, in modo da migliorare complessivamente il sistema.
Di recente Acquedotto Pugliese (AQP) ha dato il via alla realizzazione in Puglia di 17 nuovi impianti di cogenerazione a biogas da fanghi di depurazione. Può illustrarci i vantaggi di questi tipo di impianti? Qualche best practice già in essere?
Con le recenti crisi internazionali la nostra fattura energetica è passata da 92-93 milioni all'anno a 205 milioni, oltre 100 milioni in più. Oggi la situazione si è stabilizzata, ma è stato un momento drammatico. Molti gestori in campo nazionale hanno avuto crisi di liquidità importanti.
La prima esigenza, quindi, è andare verso l’autoproduzione al fine di evitare una serie di costi. Da poco abbiamo autorizzato la realizzazione di 17 nuovi cogeneratori a biogas per produrre energia elettrica. Contemporaneamente, stiamo coprendo le vasche degli impianti di depurazione e sulle coperture installeremo pannelli fotovoltaici. Circa il 30-40% dell'energia che serve a questi impianti verrà prodotta in questa maniera.
Poi continueremo gli investimenti per realizzare grandi impianti, fotovoltaici ed eventualmente qualche impianto eolico, per produrre e fornire energia a tutte le nostre strutture. E siccome stiamo andando in una logica di multiutility, andare anche a vendere al mercato l’energia elettrica rimanente.
Quindi passiamo dall'essere consumatori di energia elettrica ad essere autoproduttori. Questo ci fa ridurre i costi in maniera importante. È una strategia che prima o poi tutti gli acquedottisti dovranno intraprendere.
Nel prossimo triennio AQP ha intenzione di realizzare oltre 100 impianti fotovoltaici. Dunque il settore acqua è sempre più integrato con quello dell’energia? Altri progetti allo studio?
Abbiamo un progetto di innovazione, BFBios, grazie al quale stiamo trasformando il fango di depurazione in metano e gasolio, quindi stiamo prendendo la componente energetica per valorizzarla e riutilizzarla nei motori che producono energia elettrica. Altra esperienza importante, oltre alla cogenerazione dei nostri impianti di depurazione: rilasciamo l'acqua reflua, quando non possiamo darla all'agricoltura, su quelle che si chiamano trincee drenanti, oppure in parchi acquatici che hanno la caratteristica di rinnovare completamente il paesaggio e addirittura avere nuova flora che cresce.
Un esempio è la bella esperienza realizzata nel comune di Melendugno. I cittadini sono molto contenti di avere per la prima volta un parco naturale a ridosso dalla loro cittadina, vicino all’impianto di depurazione, che invece di essere visto con diffidenza, è guardato ora in maniera ottimistica e positiva.
A proposito di depurazione, quanto è importante investire in questo ambito?
Gli impianti di depurazione sono una strategia vincente nell’economia circolare. Questo per noi ha una ragione doppia rispetto a qualsiasi altro acquedotto italiano ed europeo perché siamo una Regione priva d’acqua e quello che si preleva dagli invasi viene sottratto alle nostre capacità di distribuzione.
L'agricoltura porta via dai nostri invasi il 60% dell'acqua, l'altro 30% lo prendiamo noi, il 10% va all’industria. Se noi riuscissimo con la depurazione a restituire all’agricoltura qualche milione di metri cubi di acqua, ne risparmieremmo altrettanta di prelievo dai nostri invasi e avremmo maggiori garanzie nei periodi estivi.
Questa è la ragione per cui stiamo trasformando i nostri impianti in questa logica: 13 sono già passati alla produzione di acqua reflua per il riuso in agricoltura. Certo, non tutti gli impianti riescono a fornirla perché da parte degli enti di irrigazione non c'è ancora la capacità economica di collegarsi con i nostri depuratori, ma una modifica normativa che sta valutando Arera potrebbe mettere a costo, e quindi a tariffa, anche i collegamenti verso i gestori degli enti di irrigazione.
Se riuscissimo a realizzare questo obiettivo sui 185 impianti di cui disponiamo, 100 milioni di metri cubi di acqua verrebbero riutilizzati e non prelevati dagli invasi.
Intervista a cura di Elena Veronelli