La gestione dei fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue e i motivi per cui in Italia si registra un collo di bottiglia in questo settore. Un confronto con gli altri Paesi europei e le misure che le istituzioni dovrebbero mettere in campo per aiutare le società a investire in questo settore. L’utilizzo dei finanziamenti dal PNRR a sostegno delle infrastrutture idriche.
Ne parla in questa intervista rilasciata a Watergas Daniele Basso, Ceo HBI, startup che ha ideato, brevettato, progettato e posto in opera una tecnologia e un impianto in grado di recuperare materiali ad alto valore aggiunto, migliorando il ciclo idrico e rendendo un comune depuratore una bioraffineria poligenerativa sostenibile.
Oltre il 60% dei fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane non è trattato in maniera efficiente e sostenibile. A cosa è dovuto questo collo di bottiglia?
Sono tre i fattori che in sostanza determinano questo fenomeno. Il primo è la crescita del volume dei fanghi da trattare, dovuta all’aumento delle capacità di depurazione e in parte legata alla risoluzione delle procedure di infrazione europee ancora attive. Inoltre, dobbiamo considerare che in molte aree del nostro Paese, in particolare nel Mezzogiorno, la gestione dei fanghi è realizzata in mancanza di una dimensione di livello industriale. Un aspetto che comporta gioco forza una ridotta efficienza nella prospettiva dell’obiettivo di circolarità del ciclo idrico. Una terza criticità è la vetustà impiantistica: in Italia purtroppo abbiamo sottostimato la valutazione della mole di fanghi che avremmo prodotto e la maggior parte degli operatori, siano gestioni dirette o gestioni industriali, tratta i fanghi con tecnologie e metodiche ormai obsolete che frenano le potenzialità del riciclo.
Può fornirci qualche dato sull’accumulo di fanghi di depurazione in Italia?
Nel nostro Paese si stima vengano prodotte annualmente circa 3,2 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione, con un incremento annuo stimato pari al +7.5 % (CAGR). Una quantità sempre più significativa che richiede il superamento della logica di destinazione in discarica o all’incenerimento, sistemi di smaltimento il cui costo si aggira attualmente intorno ai 150-200 euro per tonnellata. Ancora nel 2020 ben il 53,5 % dei fanghi prodotti a livello nazionale è stato avviato a smaltimento e secondo il position paper n. 225 a cura del Laboratorio Ref circa 1,9 milioni di tonnellate di fanghi all’anno sono avviate a smaltimento oppure non sono proprio trattate. A queste vanno inoltre aggiunte circa 220 mila tonnellate di fanghi che vengono esportate all’estero.
Qual è la situazione negli altri Paesi sul fronte trattamento delle acque reflue urbane? Stanno avanti a noi? Perché?
Nel trattamento dei fanghi di depurazione altri Paesi europei quali il Regno Unito, la Francia e la Germania in particolare adottano una solida gestione industriale, capillare sul territorio e affidata ad un numero ridotto di grandi operatori. Ciò consente un trattamento più efficiente e controllato, sebbene si tratti ancora in larga parte di metodiche di gestione tradizionali come la destinazione ad incenerimento in primis.
Quali sono le azioni che le istituzioni dovrebbero mettere in campo per aiutare le società a investire in questo settore?
Innanzitutto, occorre definire una posizione istituzionale chiara e decisa che cambi il paradigma sulla gestione dei fanghi: da trattarli come rifiuto a considerarli una risorsa urbana strategica, da cui si devono recuperare acqua, energia rinnovabile e fertilizzanti circolari.
Poi, credo che i profili di intervento tecnico siano essenzialmente tre. Sarebbe ottimale favorire le gestioni di livello industriale e le aggregazioni tra i gestori dei depuratori. La revisione della normativa sull’utilizzo e la gestione dei fanghi, che in Italia risale al 1992, sarebbe un ulteriore punto sul quale concentrarsi, così da assicurare un recupero efficiente della risorsa, conformemente al paradigma dell’economia e dell’agricoltura circolare e sostenibile.
Infine, sarebbe necessario implementare ulteriormente la regolazione del ciclo idrico da parte di ARERA, prevedendo la definizione di parametri premiali di efficienza e di qualità specifici sul trattamento dei fanghi e sempre più dettagliati, in grado di incentivare i gestori al trattamento e al recupero efficiente di acqua, energia e nutrienti. Al momento attuale infatti la metrica considerata è limitata alla valutazione della quantità di fanghi destinati in discarica.
Sono arrivati diversi finanziamenti dal PNRR a sostegno delle infrastrutture idriche. Come vanno investiti i soldi del PNRR?
Senza dubbio l’intervento del PNRR costituisce una formidabile opportunità di progresso per tutto il sistema ambientale italiano per sostenere il raggiungimento di obiettivi di transizione energetica e digitalizzazione. Siamo comunque coscienti che nel contesto italiano sussistono, per gli enti locali deputati a seguire i progetti, difficoltà legate alla burocrazia nonché alla dimensione straordinaria degli investimenti che sono stati assegnati. Inoltre, molti dei progetti che si realizzeranno sono ideati ancora con tecnologie non all’avanguardia e che non perseguono obiettivi circolari e di sostenibilità di medio/lungo periodo. Ritengo che una possibile chiave di volta sia quella di investire su frontiere tecnologiche innovative e promettenti coinvolgendo il ricco tessuto di startup e PMI che collaborano con università e centri di ricerca. Noi stiamo collaborando attivamente per la realizzazione di almeno due progetti di impianti per il trattamento dei fanghi finanziati nell’ambito della Missione 2 del PNRR.
HBI ha ideato, brevettato, progettato e posto in opera una tecnologia in grado di rendere un comune depuratore una bioraffineria poligenerativa sostenibile. Può spiegarci nel dettaglio di cosa si tratta?
La tecnologia innovativa di HBI sviluppata per il trattamento dei fanghi da depurazione in ottica di economia circolare è in grado di ridurre di oltre il 90% la massa del rifiuto in uscita dal processo, ricavando acqua, energia rinnovabile e fertilizzanti riciclati per uso agricolo. Il processo di HBI, integrando la carbonizzazione idrotermica (HTC) e la gassificazione, consente di valorizzare in modo efficiente e sostenibile i tre grandi elementi sopra citati che sono intrinsecamente contenuti nei fanghi. Risorse preziose che permettono, oltre al beneficio sull’ecosistema naturale, anche di contenere di circa il 20% i costi economici del tradizionale smaltimento.
La nostra tecnologia abilita in particolare il recupero dell’85% dell’acqua, l’estrazione di materie critiche come i fertilizzanti e l’ammoniaca e di elementi quali azoto, fosforo, potassio, ferro, calcio, magnesio, rame, zinco, boro e manganese. Un sistema di estrazione completamente autonomo dal punto di vista energetico perché riutilizza l’energia prodotta dai fanghi stessi durante il ciclo di trattamento, capace di trattare con gli stessi risultati sia i fanghi tal quali che quelli derivanti da processo di digestione anaerobica.
Un primo impianto è stato installato presso il depuratore di Bolzano (a giugno 2021) e successivamente spostato a Fusina, presso il sito GPLab della società Veritas a Venezia. Risultati ottenuti finora?
In entrambi gli impianti citati la capacità di trattamento in continuo è pari a mille tonnellate all’anno. Oggi HBI sta lavorando su alcuni progetti che prevedono la realizzazione di impianti con capacità di trattamento pari a 10.000 tonnellate all’anno, capaci di servire circa 400.000 abitanti equivalenti. Il sistema per il trattamento dei fanghi di depurazione di HBI è scalabile e modulare, potendo adattarsi alle diverse taglie di depuratori a partire da 5.000 tonnellate all’anno. I moduli di minore taglia possono inoltre essere mobili e quindi servire sia i depuratori delle aree interne sia le località turistiche che registrano picchi stagionali di persone, e conseguente aumento del volume di acque reflue e dei relativi fanghi di depurazione, solo in alcuni periodi dell’anno.
Quanto è importante la collaborazione tra società, università e centri di ricerca?
È una relazione decisiva per mettere a frutto le ricerche condotte. Quando fondammo HBI grazie anche all’intuito del mio socio fondatore e imprenditore Renato Pavanetto ero reduce dagli studi del mio dottorato di ricerca. Sentivo l’urgenza di colmare il gap che troppo spesso passa tra la fase di approfondimento accademico e quella di progettazione e realizzazione su base industriale. In HBI non abbiamo mai interrotto il rapporto con il mondo della ricerca, anzi intendiamo rafforzarlo ancor di più perché questa è la strada maestra per centrare dei traguardi rilevanti. Contiamo infatti di mantenere sempre proficuo il confronto con il network delle università italiane che hanno portato alla registrazione dei nostri brevetti. Ad esempio, di recente abbiamo vinto insieme con i nostri storici partner, Libera Università di Bolzano e NOI Techpark un bando FESR relativo ad un nuovo progetto di separazione dei metalli pesanti e recupero dei nutrienti dai fanghi attraverso la nostra tecnologia.
Intervista a cura di Elena Veronelli