INTERVISTA. AII: infrastrutture idriche scontano decenni di mancati investimenti. Serve tariffa

Intervista all’Ing. Catello Masullo, Direttore della ricerca “Sostenibilità del settore idrico locale: capacità di innovazione e capacità di spesa”, commissionata da BFWE a Centro Studi Enti Locali, e membro del Consiglio direttivo nazionale e della sezione Italia centrale dell’Associazione Idrotecnica Italiana

Una gestione troppa frammentata e una mancata manutenzione e rinnovamento negli ultimi decenni. Sono questi i due principali aspetti che ostacolano la modernizzazione della rete idrica.

È quanto emerge da questa intervista a Catello Masullo che, in qualità di Direttore della ricerca commissionata da BFWE a Centro Studi Enti Locali dal titolo “Sostenibilità del settore idrico locale: capacità di innovazione e capacità di spesa”, espone la propria posizione sullo stato delle infrastrutture idriche italiane. La ricerca, che verrà presentata in occasione della prossima edizione di Accadueo in programma a Bari il 27-28 novembre, intende analizzare la sostenibilità economica nel contesto del settore idrico locale esaminando due fattori chiave: la tendenza all’innovazione nel settore delle reti idriche e la disponibilità di investimenti per la realizzazione di interventi strutturali.

Secondo Catello Masullo, membro del consiglio direttivo nazionale della sezione Italia centrale dell’Associazione Idrotecnica Italiana, “la mancata manutenzione e/o rinnovamento degli ultimi decenni ha portato ad un tasso di perdite idriche nella fase di distribuzione che posiziona l’Italia come 4° peggior Paese in UE-27+UK”.

In questo quadro “sarebbe fondamentale per garantire il buon funzionamento del servizio, permettendo di garantire una gestione più sostenibile ed efficiente della risorsa a livello nazionale e locale”.

Qual è lo stato in cui versano le infrastrutture del settore idrico?

Le infrastrutture del settore idrico in Italia scontano decenni di cronica mancanza di investimenti adeguati al mantenimento di condizioni di funzionalità accettabile. Storicamente, dopo importanti interventi dello Stato nel secondo dopoguerra, spinti dalla potenza del periodo di intensa industrializzazione e di imperiosa crescita dell’economia che portò anche al grandioso intervento della Cassa per il Mezzogiorno per la parte meridionale del paese, gli ultimi decenni hanno visto un fortissimo rallentamento degli investimenti, in ragione soprattutto con il peggioramento dei conti dello Stato. Per molti anni l’investimento, espresso in euro per abitante e per anno, con valori medi dei paesi avanzati tra 80 e 10 euro, in Italia non ha superato i 30/35 euro. Con un conseguente degrado dello stato di manutenzione.

La situazione è andata migliorando negli ultimi anni a seguito della riforma epocale della cosiddetta “Legge Galli”. Una fotografia ad oggi vede il 60% della rete idrica di distribuzione con più di 30 anni di età, e il 25% che supera i 50 anni, con punte del 40% nei centri urbani. All’attuale ritmo di sostituzione, ci vorrebbero 250 anni per rinnovare completamente le tubature.

 A pesare sul servizio idrico c’è anche una gestione troppo frammentata?

In gran parte del territorio italiano il servizio idrico è integrato e gestito da un unico operatore industriale: si tratta di 5.933 comuni, ovvero 48 milioni di abitanti (pari all’83% della popolazione italiana). Sono 224 i comuni in cui il servizio è gestito da almeno un operatore industriale diverso, risultando pertanto frammentato, per una popolazione complessiva pari a circa 2 milioni di abitanti (circa il 4% della popolazione nazionale). Al 2023, sull’intero territorio nazionale, sono almeno 1.465 i Comuni che gestiscono in proprio almeno uno dei tre servizi tra acquedotto, fognatura e depurazione. Si tratta del 19% dei Comuni italiani, pari a circa 7,6 milioni di abitanti (il 13% del totale nazionale).

Come stiamo messi in Italia quanto manutenzione della rete?

Male. La mancata manutenzione e/o rinnovamento degli ultimi decenni ha portato ad un tasso di perdite idriche nella fase di distribuzione che posiziona l’Italia come 4° peggior Paese in UE-27+UK. Le inefficienze si estendono a tutte le fasi del SII (Servizio Idrico Integrato): sono ancora 1,3 milioni i cittadini italiani che vivono in comuni privi del servizio di depurazione, un dato che ha già̀ causato il pagamento di 143 milioni di Euro per infrazioni comunitarie.

Tornando al tema investimenti per modernizzare la rete. Quali sono i dati ad oggi?

Gli investimenti realizzati negli ultimi anni in Italia nel settore idrico hanno raggiunto i 64 euro all'anno per abitante nel 2022, con una crescita del 94 per cento rispetto al 2012 (circa 33 euro per abitante). E si stima una spesa di 70 euro per abitante nel 2023. Fra il 2016 e il 2022, l’Italia, con 2,9 miliardi di euro, è stato il maggior beneficiario delle risorse BEI dedicate al settore idrico. In Italia, circa l’80% degli investimenti nel settore idrico è finanziato dalla tariffa.

Quindi sarebbe essenziale l’applicazione di una tariffa idrica?

Esattamente, sarebbe fondamentale per garantire il buon funzionamento del servizio, permettendo di garantire una gestione più sostenibile ed efficiente della risorsa a livello nazionale e locale. La necessità di una tariffa idrica appropriata deriva da diverse considerazioni che vanno oltre la semplice copertura dei costi operativi. Una tariffa idrica adeguata è essenziale per sostenere gli investimenti nel settore dell’acqua, garantendo un’infrastruttura e un servizio idrico funzionante a favore dell’intera collettività̀. Guardando il livello di risorse stanziate a livello italiano nel confronto europeo, emerge che gli investimenti medi pro capite realizzati nell’ultimo quinquennio dai gestori industriali del Servizio Idrico in Italia sono pari a 59 Euro per abitante, ben al di sotto della media UE-27+UK di 82 Euro pro capite. Il tasso di crescita medio annuo è stato del 6,8% nel decennio 2012-2022, passando da 33 euro pro capite nel 2012 a 64 euro pro capite nel 2022.  Nel 2022 si stima che i gestori industriali abbiano investito 64 Euro pro capite, quasi 8 Euro pro capite in più rispetto al 2021 (56 Euro per abitante), fino a raggiungere i 70 Euro nel 2023 (ultime stime della Fondazione Utilitatis). Tali dati sono coerenti con il trend dell’ultimo decennio, che registra un raddoppio degli investimenti pro capite dei gestori industriali, equivalente a un tasso medio annuo di crescita composito dal 2012 al 2022 del +6,8%. Effettuando un’analisi del legame tra la tariffa dell’acqua e il tasso di investimento nei Paesi UE-27+UK, risulta evidente la correlazione positiva tra le due dimensioni: più̀ alta è la tariffa, maggiore è l’investimento nel servizio idrico.

Nello specifico, a 1 Euro aggiuntivo di tariffa si associano 15 Euro di investimenti pro capite in più̀. In definitiva, anche se il tasso di investimento è ancora lontano dalla media europea, soprattutto in ragione della inadeguatezza delle tariffe idriche, un deciso cambio di passo si sta realizzando verso più concrete prospettive di modernizzazione delle infrastrutture.

In occasione della prossima edizione di Accadueo 2024, che si terrà a Bari il 27-28 novembre, Centro Studi Enti Locali presenterà la ricerca, commissionata da BFWE, “Investire nel servizio idrico da una prospettiva locale – sostenibilità, innovazione e performance”. In qualità di Direttore della Ricerca, può darci qualche anticipazione sugli obiettivi?

La ricerca in corso ha lo scopo di costruire un quadro aggiornato dello stato delle infrastrutture idriche del nostro paese. Si focalizzerà, in particolare,  sulla analisi delle perdite idriche, sia in Italia che nella UE, sulla analisi degli investimenti realizzati in passato e di quelli a disposizione nei prossimi anni, con particolare riguardo alle fonti di finanziamento e di dotazione economica nel nostro Paese e nella Ue, ai principali investimenti PNRR per il settore idrico e gli enti locali, agli investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico, agli investimenti per la riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti, analisi delle altre principali fonti di finanziamento, quali: REACT – EU, BEI - Bank of European Investment, Cassa Depositi e Prestiti, Water4All di Horizon Europe, FESR. Saranno altresì analizzati la capacità di innovazione del sistema idrico locale italiano, la percezione del servizio idrico da parte di addetti ai lavori e dei cittadini. Un particolare focus sarà infine dedicato al Sud Italia.

In attesa dei dati che emergeranno dalla ricerca, quali crede siano i principali elementi di criticità del settore e come è possibile avviare una più efficiente gestione del settore idrico?

Gli elementi di maggiore criticità del settore idrico nel nostro paese, sui quali concentrare la attenzione per avviare una più efficiente gestione del settore idrico sono essenzialmente quattro.

Innanzitutto, è presente una storica scarsità di investimenti, dovuta alla progressiva riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato, alla estrema parcellizzazione delle gestioni, alle tariffe molto più basse delle medie europee. Questa problematica è in via di risoluzione con le riforme legislative che hanno favorito l’accorpamento e la razionalizzazione delle gestioni e hanno attirato nuovi investimenti.

È, inoltre, presente un inaccettabile tasso di perdite idriche, figlio della scarsità di investimenti, da risolvere in via prioritaria, dal momento che le risorse idriche dilapidate nelle perdite hanno la caratteristica di essere le risorse fortemente desiderate e ricercate che non hanno alcun concorrente in termini di qualità, quantità ed ubicazione rispetto a qualsiasi altra fonte.

L’insufficienza dei sistemi di stoccaggio ed immagazzinamento delle risorse idriche rappresenta una ulteriore criticità legata al servizio idrico. Nel nostro paese piovono dal cielo in media 300 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno (siamo la nazione più piovosa di Europa), dei quali ne usiamo un po’ meno del 15% e, conseguentemente, l’85% delle risorse mediamente e teoricamente disponibili finiscono in mare.

Occorre quindi fare un maggiore appello allo spirito del buon padre di famiglia, che mette da parte le risorse quando sono abbondanti, per poter soddisfare i fabbisogni della famiglia nei momenti in cui le risorse sono scarse. E dare maggiore impulso al recupero delle capacità e allo stoccaggio degli invasi esistenti, mediante la rimozione dei sedimenti, in primo luogo, e varare un programma di potenziamento di tali capacità.

Quali sono le differenze nella gestione del servizio idrico del Nord e quella del Sud?

C’è la questione del “Water Service Divide”. Anche in questo settore si registra una Italia a due velocità: nel Blue Book (realizzato in collaborazione con Istat, Enea, ANBI e le sette Autorità di Bacino dei Distretti Idrografici) si descrive un profondo divario in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali ‘in economia’, gestite direttamente dagli enti locali e diffuse soprattutto nel Meridione. Gli investimenti medi per queste gestioni sono di 11 euro per abitante; dei 1.465 Comuni in cui la gestione di almeno uno dei servizi è ‘in economia’, l’80% si trova al Sud.

C’è poi un problema di governance. In Campania e Sicilia ci sono ancora affidamenti della gestione della risorsa acqua non conformi alla normativa vigente. Il Sud Italia è la parte del paese più colpita dalla scarsità idrica e dalla mancanza di investimenti nel settore. Le perdite idriche sono più elevate rispetto al Nord e al Centro del Paese e molti comuni sono ancora privi del servizio di depurazione (9,9% della popolazione delle Isole e 3% nel Sud Italia).  L’allocazione del valore economico e sociale generato dal ciclo idrico esteso non è distribuito in modo proporzionale rispetto alla popolazione italiana. Il 46,5% della popolazione risiede al Nord e in questo territorio si registra la produzione del 73,6% del Valore Aggiunto del ciclo idrico esteso e la localizzazione del 74,6% dei lavoratori. Al Sud, invece, a fronte della concentrazione del 33,6% della popolazione, le aziende generano solo l’11,1% del Valore Aggiunto e il 12,8% dell’occupazione.