Disponibilità e utilizzo della risorsa idrica: a che punto siamo

L'acqua, insieme ai servizi a essa correlati, è un elemento imprescindibile per la sostenibilità ambientale, il benessere dei cittadini e la crescita economica ed è pertanto inclusa negli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, incoraggiato in particolare dal Goal 6 (Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari) degli indicatori di sviluppo sostenibile (SDGs), è vitale per una vita sana e prospera della società, per la sopravvivenza degli ecosistemi e il mantenimento della biodiversità. Fondamentale anche nella produzione di cibo ed energia e nella maggior parte dei processi industriali, la mancanza di accesso all'acqua si traduce quindi anche in un rallentamento della crescita economica.

L'attuale crisi idrica è una delle maggiori sfide del nostro tempo, particolarmente rilevante nelle aree urbanizzate. Il cambiamento climatico e l’inquinamento stanno infatti accrescendo la pressione su corpi idrici e infrastrutture, già fortemente sollecitati dai processi di urbanizzazione e dallo sviluppo economico, aggravando quindi condizioni di stress idrico preesistenti e provocando degli effetti evidenti sul ciclo idrico urbano ⁠— alterando la quantità, la disponibilità, la distribuzione e la qualità dell'acqua.

Il cambiamento climatico sta influenzando in maniera rilevante il ciclo idrologico. Negli anni è aumentata la frequenza e l'intensità degli eventi estremi, come alluvioni e siccità, rendendo la disponibilità di acqua sempre più imprevedibile e inaffidabile.

La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, che a sua volta incide sull’aliquota di evapotraspirazione reale, porta a una riduzione della disponibilità media annua della risorsa idrica che nel 2022 a livello nazionale, secondo i dati ISPRA[1], ha superato di poco i 221 mm (corrispondenti a un volume totale di 67 km3), toccando il minimo storico e riducendosi di oltre il 51% rispetto alla media del periodo 1951-2022 (in netta riduzione anche in riferimento all’ultimo trentennio climatologico 1991-2020). Sicilia (–80,7%), Sardegna (–73%) e Distretto idrografico del Fiume Po (–66%) sono le aree più colpite dal deficit idrico nel 2022.

Continuando l’analisi dei dati ISPRA, risulta che nel 2022 circa il 20% del territorio nazionale si trova in condizioni di siccità estrema e circa il 40% in siccità severa e moderata. Il 2022 segue il 1990 e il 2002 per gravità, in termini di persistenza delle condizioni di siccità.

In questo scenario di minore disponibilità idrica, risulta determinante il ruolo dei prelievi di acqua dai corpi idrici che, anche in annate non particolarmente siccitose e con disponibilità idrica superiore al valore climatico, possono generare condizioni di stress idrico a livello stagionale e locale[2].

Nel quinquennio 2015-2019 si stima che il volume totale d’acqua prelevata in Italia per le principali attività presenti sul territorio (civile, irriguo, industriale) è in media annua pari a circa 30,4 miliardi di metri cubi. A livello nazionale il 56% d’acqua è prelevata per l’irrigazione, seguono l’uso civile con il 31% circa e il settore industriale manifatturiero con il 13%[3].

Il comparto potabile rappresenta un sorvegliato speciale, anche per le dirette conseguenze sul benessere dei cittadini. Ripensare il ciclo urbano dell'acqua attraverso l'economia circolare offre l'opportunità di affrontare queste sfide fornendo un approccio sistemico e trasformativo per fornire un servizio di approvvigionamento idrico e di trattamento delle acque reflue urbane, concepito in modo più sostenibile, inclusivo, efficiente e resiliente.

Una gestione efficiente dei servizi idrici per uso civile, dal prelievo di acqua per uso potabile alla depurazione delle acque reflue urbane, passa anche dalla gestione integrata di tutti i comparti, al fine di garantire la tutela ambientale della risorsa idrica e il rispetto dei vincoli economici.

In base agli ultimi dati del Censimento delle acque per uso civile[4] dell’Istat nel 2020 risultano operativi in Italia nel settore dei servizi idrici 2.391 gestori: 1.997 in economia, ovvero enti locali, e 394 specializzati, in parte affidatari della gestione del Servizio idrico integrato (SII). Sebbene il numero di operatori si presenti costantemente in calo (-161 unità rispetto al 2018; erano 7.826 nel 1999), la gestione risulta ancora fortemente frammentata nelle aree in cui la riforma non è ancora stata pienamente attuata, come in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta, e nelle province autonome di Bolzano e Trento.

L’Italia è, da oltre un ventennio, il Paese dell’Unione Europea in cui si preleva il volume maggiore di acqua per uso potabile: 9,19 miliardi di metri cubi nel 2020 (422 litri per abitante al giorno), che ci posizionano al primo posto per il prelievo più alto in valore assoluto, e al secondo posto, dopo la Grecia, in termini pro capite. Il maggiore prelievo si ha nel distretto idrografico del Fiume Po, con 2,80 miliardi di metri cubi (30,5% del totale nazionale).

Monitoraggio e misurazione continua delle fonti, che rappresentano una condizione necessaria per una gestione efficiente della risorsa idrica, risultano ancora poco diffuse nelle piccole captazioni e nelle gestioni in economia. Nel 2020 poco più dell’80% del volume prelevato è sottoposto a misura; la restante quota è stimata dai gestori delle fonti per mancanza o malfunzionamento degli strumenti di misura.

Alla pressione sulla risorsa idrica generata dai prelievi si associa una condizione di persistente criticità nell’infrastruttura idrica. Nel 2020, nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile, il 42,2% dell’acqua immessa in rete non arriva agli utenti finali. Sebbene l’andamento delle perdite mostri una forte variabilità territoriale, legata anche ad aspetti infrastrutturali e gestionali caratteristici dell’area, l’infrastruttura risulta meno efficiente nel Centro e Mezzogiorno, nelle aree ricadenti nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare (Figura 1). Sono andati persi in distribuzione 3,4 miliardi di metri cubi, una quantità di acqua che sarebbe sufficiente a garantire i fabbisogni idrici di oltre 44 milioni di persone in un anno. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,7 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati (215 litri per abitante al giorno), a fronte degli 8,1 miliardi immessi in rete (373 litri per abitante al giorno).

Figura 1 - Perdite totali percentuali in distribuzione per distretto idrografico

Dai dati censuari emerge la fotografia di un paese in cui è forte il disequilibrio infrastrutturale anche dal punto di vista fognario depurativo, che conferma il divario Nord-Sud visto anche in altri ambiti. Nel 2020, circa 9 abitanti su 10 (88,7%) sono allacciati alla rete fognaria pubblica, indipendentemente dalla disponibilità di impianti di trattamento successivi; 6,7 milioni di abitanti non sono serviti pertanto dalla rete fognaria pubblica. L’area con la maggiore copertura del servizio pubblico di fognatura è il Nord-ovest (94,4%). La copertura più bassa si raggiunge nelle Isole (81,5%), valore sul quale pesa il dato della Sicilia (77,2%); la copertura è inferiore all’80% anche in Veneto (79,0%). Il servizio è completamente assente in 40 comuni, dove risiedono 386mila abitanti (0,7% della popolazione), situati soprattutto in Sicilia (25 comuni).

Nel 2020, il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane è garantito da 18.042 impianti di depurazione, di cui 10.165 effettuano trattamenti di tipo primario o vasca Imhoff e 7.877 secondario o avanzato. Il 96,3% dei comuni è depurato in maniera completa o parziale. Il servizio è del tutto assente in 296 comuni (201 dei quali nel Mezzogiorno), dove risiedono 1,3 milioni di abitanti.

Ai fini della tutela del territorio e della risorsa idrica, oltre alla necessità di migliorare la resilienza dei sistemi idrici e ridurre drasticamente la dispersione delle acque, il riutilizzo delle acque reflue depurate rappresenta una preziosa pratica in grado di offrire considerevoli quantitativi di risorsa in modo costante durante tutto l’anno.

A garanzia di una migliore qualità delle acque allo scarico, se si considerassero solo i 2.019 impianti di depurazione delle acque reflue urbano di tipo avanzato, che trattano un carico inquinante effettivo pari a circa 44 milioni di abitanti equivalenti, si recupererebbero 4 miliardi di metri cubi d’acqua. Destinando questi volumi totalmente all’uso irriguo, che nel periodo 2015-2019 ha originato un prelievo in media annua di 17 miliardi di metri cubi, col riuso delle acque reflue urbane trattate in impianti avanzati andremmo a coprire circa un quarto del fabbisogno idrico[5].


[1] https://www.isprambiente.gov.it/files2023/area-stampa/comunicati-stampa/comunicato-clima-risorsa-idrica.pdf

[2] https://www.utilitatis.org/wp-content/uploads/2023/04/BLUE-BOOK-2023.pdf.

[3] https://www.istat.it/it/archivio/286191

[4] https://www.istat.it/it/archivio/282387

[5] https://www.istat.it/it/archivio/285778